Cos'è la talassemia.


Le talassemie sono malattie genetiche caratterizzate da un difetto di produzione dell'emoglobina, quindi del globulo rosso, che nasce fragile, di breve vita, tanto da "morire" spesso già prima di uscire dal suo "nido di origine", il midollo osseo. Queste emoglobinopatie sono malattie ereditarie del sangue, di cui la più importante è la beta-talassemia (che così si chiama perché il difetto di formazione riguarda una delle due catene che formano la molecola dell'emoglobina, la catena beta, appunto).
Thalassa vuol dire mare; mare Mediterraneo, per i Greci: e la talassemia è una malattia che interessa in larga misura le popolazioni delle coste del Mediterraneo, anche se si ritrova in focolai abbastanza estesi sia in Asia Orientale che in Africa.
La diffusione della talassemia è stata attribuita ad un vantaggio che il difetto genetico rappresenta per il portatore, (allo stato di "portatore sano" o "eterozigote", o affetto da "talassemia minor", o "microcitemia", come sono sempre i due genitori dei pazienti malati): una protezione nei riguardi del "Plasmodium falciparum", il più terribile dei parassiti malarici, responsabile della cosiddetta "malaria perniciosa" che è ancora la maggior causa di mortalità tra i bambini dell'Africa sub-sahariana. Poiché, per 10 bambini con talassemia major, destinati un tempo alla morte, ne nascono 100 con talassemia minor, cioè con la forma eterozigote, di "portatore", se nessuno o molto pochi di questi 100 muore di malaria "perniciosa", ecco che i conti si saldano a vantaggio del difetto genetico e che questo finisce per diventare un vantaggio per il portatore. Il rapporto vantaggioso della talassemia (minore) nei riguardi della malaria spiega anche come mai il difetto genetico si sia accumulato nei secoli nelle aree paludose e/o alla foce dei fiumi (ecco il perché del "focolaio" ferrarese).
In Italia si calcola che vi siano oggi circa due milioni e mezzo di portatori sani, microcitemici, che non presentano sintomi se non una lievissima anemia. Sono concentrati soprattutto in Sardegna, Sicilia, regioni meridionali, ma anche nel Delta del Po. Si calcola siano invece settemila le persone affette dalla forma più severa di talassemia, quella omozigote o talassemia major o anemia mediterranea. Altre forme comuni sono la talassemia intermedia e la talasso-drepanocitosi (la combinazione di due difetti, la talassemia, mediterranea e la drepanocitosi, o falcemia, africana) forse ancor più complicata da sopportare perché potenzialmente dolorosa.
I globuli rossi, o eritrociti, "cellule rosse", sono il componente principale del sangue. Sono dei piccoli dischi, molto plastici, in grado quindi di adattarsi ai restringimenti dei vasi e da consentire un'ottima fluidità del sangue, del diametro di pochi millesimi di millimetro, ripieni di una grossa molecola contenente ferro, l'emoglobina, che dà il colore rosso al sangue e che ha il compito di portare l'ossigeno a tutte le cellule. Nella microcitemia la quota di emoglobina è ridotta mentre il numero di globuli rossi è superiore alla norma. Ciò determina una riduzione notevole dell'ematocrito e del volume globulare medio. Le microcitemie sono trasmesse ereditariamente dai genitori (entrambi "portatori obbligati", portatori cioè del gene mutante, anomalo, "in unica dose", in altre parole "eterozigoti") ai figli (il 25% dei quali, statisticamente, sarà portatore del gene "in doppia dose", cioè in condizione di "omozigote" e risulterà quindi affetto da talassemia major).
Il soggetto che ha un gene globinico normale (per esempio il gene ß) e uno anomalo (di insufficiente produzione della catena ß) è un "microcitemico", moderatamente anemico, e portatore eterozigote di microcitemia. è un soggetto sano, magari un po' pallido. Può svolgere qualsiasi lavoro, studiare, avere figli. Il malato di anemia mediterranea (talassemia major) è invece il soggetto che ha ricevuto dai genitori due geni ß-microcitemici: è il portatore omozigote di talassemia. La talassemia major, poi, non è sempre eguale, perché il difetto genico, la mutazione, che impedisce, o limita molto la produzione di una catena dell'emoglobina, é di diversa qualità e potenza: alcune mutazioni inibiscono del tutto la sintesi della catena, alcune altre la inibiscono abbastanza gravemente ma non completamente, altre ancora la limitano in misura, complessivamente, compatibile con la vita. Avevamo così bambini che morivano entro il primo anno di vita, bambini che ce la facevano a fatica ad arrivare ai 5 anni, bambini che arrivavano ai 10/12 anni, ma che non superavano la pubertà, e pochi, rari, che potevano raggiungere l'età adulta, i cosiddetti "intermedi".
Oggi, un bambino che nasca con anemia mediterranea (talassemia major, omozigote) è trasfuso periodicamente (più o meno ogni 15-30 giorni) fin dai primi mesi, e per tutta la vita. Questo paziente, qualunque sia la gravità della sua mutazione, non vivrà mai del proprio sangue, ma solo e soltanto di sangue trasfuso; e avrà tuttavia un'attesa di vita eguale a quella di ogni altra persona. Mentre nel talassemico di un tempo, il midollo osseo, a causa di una "eritropoiesi inefficiente", era sottoposto ad un'iperattività per fabbricare i suoi globuli rossi, che avevano una nascita stentata e una vita molto limitata, (il che provocava particolari alterazioni della fisionomia e dello scheletro in generale), questo nel paziente odierno, sistematicamente trasfuso, non accade più.
C'è però un problema: il sangue contiene del ferro (la molecola di ferro, anzi, è essenziale per il funzionamento dell'emoglobina); ma, mentre un soggetto normale continua a utilizzare e riutilizzare il ferro dei propri globuli rossi, via via che li rinnova, il soggetto che dipende dal sangue trasfuso (che dunque non ri-utilizza il ferro per formare continuamente "sangue nuovo") si ritrova ad avere un accumulo sempre maggiore di ferro trasfusionale non ri-utilizzabile (né eliminabile in alcuna maniera). Questo ferro, accumulato in molti tessuti, in particolare nel cuore, nel fegato e nelle ghiandole endocrine, li danneggia fino ad arrivare, sia pure più tardi, dopo i vent'anni, ad una situazione di infermità cronica, difficile da sopportare e alla fine, per molti versi, incompatibile con la vita.
Questa complicanza, in parte inattesa, della terapia trasfusionale sistematica, ha messo in moto la ricerca medica: sono stati prodotti farmaci che legano il ferro depositato nei tessuti ("ferro-chelanti") e che ne permettono l?eliminazione. Da circa trent?anni la terapia ferro-chelante si esegue con somministrazione quotidiana di un farmaco, la desferrioxamina (Desferal) per via sottocutanea con un infusore; da alcuni anni anche con altri farmaci del gruppo delle idrossipiridine (Deferiprone o Ferriprox) e del Deferasirox (Exjade) con somministrazione per via orale.
Tutto questo ha fatto la "storia " della talassemia, in cui si possono riconoscere dei periodi: una pre-istoria in cui i malati non erano trasfusi, o erano trasfusi solo occasionalmente (dunque inutilmente), che è durata fino agli anni '60; una prima fase "storica", una seconda fase "di passaggio", ancora "preistorica", in cui le trasfusioni erano più frequenti, ma ancora "al risparmio", non a tutti e non abbastanza sistematiche da silenziare del tutto l'attività di produzione spontanea di globuli rossi da parte del paziente, e durante la quale si era diffusa la pratica dell'asportazione della milza, la splenectomia, per allungare il tempo di vita dei globuli rossi (primi anni '60). Poi, una terza fase, finalmente "storica" basata su un regime trasfusionale "pieno e generoso", ma funestata dai danni da accumulo di ferro negli adolescenti politrasfusi. Infine l'ultima fase, che ancora viviamo, della terapia trasfusionale sistematica "corretta" dai ferro-chelanti, con molecole e con metodiche in progressivo miglioramento.
Queste ultime fasi sono state consentite dall'organizzazione del sistema trasfusionale (donazioni, AVIS, banche del sangue) dal progresso medico-biologico e farmaceutico, dall'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (il diritto alla salute, eguale per tutti) e dall'aumento della ricchezza disponibile nel Paese. E naturalmente anche dalle persone che hanno fatto proprio questo problema, che hanno preso sulle loro spalle la gestione (per tutta la vita) di questi malati, che hanno stimolato, sperimentato, attuato, ciascuno di questi progressi, migliorando progressivamente la gestione e la qualità di vita dei malati.
Il malato, come si comprende, ha bisogno di molte e complesse cure, senza tuttavia "guarire". La guarigione definitiva e completa si ottiene solo con il trapianto di midollo osseo, che in genere viene eseguito nel primo anno di vita, da donatore compatibile, normalmente da un fratello. L'altra terapia che, in linea teorica potrebbe dare la guarigione definitiva a tutti i malati è la terapia genica, in sostanza la sostituzione, nei cloni di cellule che producono il globulo rosso, del gene normale al posto del gene "mutante", anomalo; ma è un tipo di terapia su cui si sperimenta ormai da più di vent'anni, e sarà probabilmente necessario ancora altro tempo prima della sua applicazione.